'THE GOOD SINGING HURTS, BUT WITH THE LIGHTS ON IT'S LESS DANGEROUS' - Articolo su Fotografia e Musica, che attraversa i generi del Rock Grunge e Flamenco, Musica e Danza classica. Originariamente postato sull'ICP Library Blog, l'8 Febbraio 2016, qui.

 

IL CANTO BUONO FA MALE, MA CON LE LUCI ACCESE è MENO PERICOLOSO*

 

I Duchi sono morti, lunga vita ai Duchi   

 Era stato solo pochi giorni prima il suo compleanno, l'8 Gennaio, lo stesso di Elvis Presley nel 1935. Ma sfortunatamente anche il suo ultimo. "Il Mondo è tanto più triste oggi senza David Bowie, la più grande rock-star che mai sia caduta su questo o qualsiasi altro mondo […] Egli è stato il più umano e il più alieno degli artisti rock..” scrive Rob Sheffield su Rolling Stones. Difficile non essersi mai imbattutti in lui, anche se, come me, non si è mai stati dei fan devoti. Non soltanto attraverso le sue canzoni più famose, o produzioni (famosa quella con Iggy Pop a Berlino nei '70), ma anche nel cinema, nella televisione, o attraverso le sue maschere, Starman, Ziggy Stardust, Halloween Jack, il Magro Duca Bianco..

 

 Due fotografi sono stati intensamente al lavoro con Bowie. Il primo è Masayoshi Sukita (nato in Giappone nel 1938), che per la prima volta lo fotografò dal vivo nel 1972, al Rainbow Theatre di Londra. La loro collaborazione e amiciza è durata poi per più di 40 anni, e Sukita è anche l'autore di una delle più famose immagini di Bowie, il ritratto poi usato come copertina del suo album ‘Heroes’ (1977).

© Sukita/courtesy of Morrison Hotel Gallery

 

 Recentemente la Morrison Hotel Gallery, luogo devoto alla Fotografia di icone del mondo musicale, specialmente Rock, ha ospitato una mostra della produzione di Sukita, nei loro locali a SoHo, in Prince Street, New York (la loro seconda sede è invece a Los Angeles, West Hollywood). La mostra è terminata lo scorso Dicembre 2015, ma alcune delle immagini di Sukita sono ancora nella galleria, mentre il resto della collezione in vendita è possibile essere vista su richiesta.

 

 Un altro londinese come Bowie, il fotografo Mick Rock (nato nel 1948), e anche conosciuto come 'The man who shot the 70ies' (L'Uomo che ha immortalato i Settanta'), è stato tra il 1972 e il 1973 il suo fotografo ufficiale. Mentre il suo archivio annovera foto di molte leggende del Rock (come Syd Barret, Sex Pistols, Ramones, Blondies, Queen, Mötley Crüe..), proprio agli anni della collaborazione con il Duca Bianco è dedicato il suo ultimo libro, “Mick Rock: Shooting for Stardust, The Rise of David Bowie & Co.“, Taschen edition, 2015, una eccezionale testimonianza del tempo passato con il Duca Bianco, con alcune immagini inedite mai pubblicate prima.

© courtesy via Taschen website

 

 A Milano, la mostra del libro ha da poco chiuso i battenti nel negozio Taschen della città (TASCHEN Store Milan, Via Meravigli 17, 20123 Milano, Italia), mentre un altra mostra sempre su Bowie, completa oltre che di fotografie anche di oggetti come bozze di testi di canzone, costumi di scena usati nei suoi live, album artwork e molto altro, David Bowie is’ è stata invece estesa fino alla prossima primavera, al Groninger Museum, nei Paesi Bassi (11 Dicembre – 10 Aprile, 2016).

 

 Ma per coloro la cui vita è accompagnata da suoni più duri e metallici, il mondo è anche più triste per la perdita di un'altra stella: il fondatore e membro della band inglese Motörhead Ian Fraser “Lemmy” Kilmister se ne è andato anche lui, il 28 Dicembre scorso. I don’t wanna live for ever and don’t forget the joker, cantava nella canzone Ace of Spades (dall'album omonimo del 1980).. R.i.p. Lemmy.

 Il filmaker e fotografo spagnolo Pep Bonet per molti anni (2008-2015) ha seguito in viaggio Lemmy Kilmister, lavorando al suo progetto sulla band rock ‘n‘ roll Motörhead. Il suo libro “Röadkill Motörhead”, seguito da molte mostre, è stato pubblicato nel 2012 da Fonart Publishing.

 

Nirvana di corpi                       

 “Mi ha molto sorpreso venire a sapere che Kurt Cobain ascoltava la mia musica, e ho sempre pensato di chiedergli il perchè avesse scelto di fare una cover di ‘The Man Who Sold the World‘ di cui aveva realizzato una buona e schietta versione, che suonava in qualche modo anche molto onesta..” (David Bowie, in [1]).       

 

 Forse non ne sapremo mai i motivi, ma sicuramente Kurt Cobain (Aberdeen, Usa, 1967 – Seattle, Usa, 1994) non era cresciuto ascoltando soltanto Punk o Metal. Proprio 18 anni fa, il 23 Gennaio del 1988, la band Nirvana inizia le sessioni di registraziazione del loro primo album ‘Bleach’. Leggenda vuole che il costo di questo bel pezzo di vinile si aggirò intorno a poco più di 600 dollari, per circa 30 ore di registrazione, poi pubblicato dalla SuB Pop Records nel 1989 [2]. Anche se per molto tempo schiacciato dalla rivoluzione dell'album ‘Nevermind’ (1991), questo debutto è una piccola grande gemma nella musica Grunge, e nel Rock in generale. Grezzo, ipnotico, Bleach affonda le sue radici nel Rock degli anni '70, con una solida, a tratti tribale, sezione ritmica di basso e batteria, e un'attitudine Punk piena di rabbia, un'urgenza che condensa accordi e assoli di chitarra distorti, insieme ad una voce che urlava già in ritornelli pop.

 Sconosciuti al Mondo, i Nirvana e le altre bands sorelle di Seattle, ottennero i primi riconoscimenti dai loro tour promozionali in Europa alla fine degli '80, quando la stampa europea si accorse dei loro incendiari, affollati, stonati concerti in piccoli club. Nel 2014, il co-fondatore della Sub Pop Bruce Pavitt ha realizzato un libro, ‘EXPERIENCING NIRVANA: Grunge in Europe, 1989′, (anche tradotto in Italiano) condividendo le immagini del suo viaggio di 8 giorni di concerti insieme ai primi Nirvana, Tad e Mudhoney in Europa, da Roma (dove Kurt, sopraffatto dal peso del tour pensò seriamente di lasciare la band) fino a Londra.

 Nella sua introduzione a questa 'micro-epica storia grunge', Bruce Pavitt sottolinea che le sue fotografie in pellicola, sporche, pre-photoshop, scattate spesso al volo, non sono state realizzate da un fotografo professionista. Dopo la prima edizione in e-book, la Bazillion Points Books ha pubblicato il libro in versione cartacea, includendo 24 inedite fotografie in bianco e nero del fotografo britannico Steve Double, altro veterano della fotografia Rock, proprio dall'ultimo concerto del tour al “London’s Astoria Theatre”, il 3 Decembre 1989, uno show elettrico che rese il mondo cosciente dei Nirvana, Tad e Mudhoney.

Kurt Cobain in Colosseo of Rome, Italy, 1989 © courtesy of Bruce Pavitt/’Experiencing Nirvana’ book
Kurt Cobain in Colosseo of Rome, Italy, 1989 © courtesy of Bruce Pavitt/’Experiencing Nirvana’ book

 Ancora adesso, riprendendo in mano l'album Bleach, non riesco a non amarne la copertina. E' una fotografia scattata da Tracy Marander, al tempo la ragazza di Cobain: da sinistra a destra, Kurt Cobain, Krist Novoselic, Chad Channing, e Jason Everman (brevemente secondo chitarrista come poi raccontò lo stesso Cobain purtroppo 'troppo-metallaro'), catturati nel culmine di un concerto al ‘Reko Muse Art Gallery’ in Olympia, Washington, il 1 Aprile, 1989.

 La fotografia ha i toni invertiti, come se fosse il suo negativo, un'idea di Lisa Orth, la graphic designer di un giornale musicale locale, The Rocket. Il loro letterista, Grant Alden, scelse poi l''Onyx font' (una versione povera, già presente nella sua macchina per typesetting, del 'Bodoni Extra Bold Condensed') che abbastanza accidentalmente divenne poi il logo dei Nirvana [3]. L'immagine introduce perfettamente all'umore dell'album. Aprendo la versione CD, questa specie di visione meravigliosamente si trasforma in una foto squarciata da un lampo di flash: Cobain immortalato dopo che con un tuffo si è lanciato con la chitarra giusto sopra la batteria. La scena ha una palpabile tensione fisica: a sinistra, il bassista Krist, esausto dopo l'intensa esecuzione, ha il volto e le braccia abbassate, mentre la ragazza con gli occhiali dietro di lui e il batterista Chad sembrano sorpresi e divertiti. Un senso di non razionalità mista ad una reazione istintiva al ritrovarsi in un tale (scomodo) equilibrio, credo sia perfettamente visibile in Kurt Cobain, che ricorda quasi un bambino, soddisfatto, dopo aver nuotato nel mare del concerto. O come un bambino ancora non nato, perchè il rito della musica Rock è come suonare dentro un grembo..

 L'autore dell'immagine, Charles Peterson (nato nel 1964 a Longview, Washington, Usa), è uno dei fotografi per eccellenza della scena musicale Grunge di Seattle, al lavoro con la Sub Pop già da lunga data. Libri come Screaming Life: A Chronicle of the Seattle Music Scene (Harper Collins, 1995) o ‘Touch Me I’m Sick’ (PowerHouse, 2003) sono tra le narrazioni visive più complete che ritraggono questa scena tra gli '80 e i '90.

From the book ‘The ’90s: The Inside Stories from the Decade That Rocked’, 2011 by The Editors of Rolling Stone – image by Charles Peterson (Nirvana, Vancouver, 1991)
From the book ‘The ’90s: The Inside Stories from the Decade That Rocked’, 2011 by The Editors of Rolling Stone – image by Charles Peterson (Nirvana, Vancouver, 1991)

 Il secodo titolo, di cui ho felicemente trovato una copia a New York, prende il nome del singolo di debutto dei Mudhoney del 1988, così come il primo libro dal debutto del 1987 dei Soundgarden. Ambedue sono dei veri e propri viaggi attraverso magnifiche fotografie in Bianco e Nero, a pellicola piena, mai tagliata, delle band del tempo, insieme con alcuni dei 'padri' nobili della scena, come Black Flag, Sonic Youth, Big Black, o gruppi non strettamente Grunge come i Pussy Galore, i Beat Happening o i Dwarves.

© courtesy of Charles Peterson/PowerHouse/”Touch I’m Sick” book

 

 L'importanza documentaria, insieme al valore artistico specifico di molte di queste immagini, è evidente. Inoltre, un altro aspetto specificamente legato al mondo ritratto mi sembra salti agli occhi: la centralità fisica dei soggetti fotografati (musicisti o pubblico), e le loro azioni. E' una fotografia di corpi, espressa dal loro linguaggio visuale, che può evocare poi suoni, biografie, o attitudini di una singola persona, di una band, del pubblico sotto al palco, o di un intero genere musicale. L'assenza, ciò che è fuori dai bordi della fotografia, può non essere così importante per percepire la scena, la musica, l'eccitazione selvaggia, il rumore: quello che conta in queste fotografie, è principalmente quello che si vede al loro interno.

© courtesy of Modern Rocks Gallery. Con lavori di fotografi come Don Hunstein, Bob Gruen, Sheila Rock e Jill Furmanovsky per nominare solo alcuni nomi, la Modern Rocks Gallery, in Austin, Texas, Usa, ospita immagini di rockers leggendari, come Bob Dylan, Johnny Cash, Jimi Hendrix e Pink Floyd fino ai The Sex Pistols e The Clash.

 

El Cante Jondo                       

 Mi è piaciuto, ma non mi ha convinto, il documentario ‘Kurt Cobain: Montage of Heck’ (di Brett Morgen, 2015), circa la vita di Kurt. Un prodotto artistico perfettamente riuscito, in alcuni momenti elettrico, ma in altri troppo oltre una certa intimità, almeno dal mio punto di vista. Certo, la vita di Cobain è importante per comprendere i Nirvana: ma non dovrebbe semmai essere la sua musica, quella da approfondire sempre di più, mentre lui riposa in pace ? Soltanto certe lenti di sofferenza o storie della vità più privata, possono aiutare a far luce più in profondità circa la sua o l'Arte in generale ?

 

 Naturalmente il Punk-Rock non è l'unico genere di musica con una particolare relazione con certe emozioni forti, anche il Jazz o il Flamenco traggono ispirazione da esse. Quest'ultima tradizione artistica proviene da un'eredità vivente del mondo gitano, di danza, canto e musica, specifcatamente nata nel sud della Spagna, dove fin dal XV secolo la dominazione dei Mori creò un crogiulo culturale tra gli Andalusi, Arabi, Castigliani, Ebrei e zingari gitani. Uno dei più grandi chitarristi di Flamenco, Manuel Moreno ‘Moraíto Chico’ Junquera (1956, Jerez de la Frontera, Spagna – 2011, Jerez de la Frontera, Spagna) racconta lo spirito della sua musica nel bellissimo documentario ‘El Cante Bueno Duele’ (‘Il Canto Buono Fa Male” di Martijn van Beenen e Ernestina van de Noort, Netherlands, 2011).

 Mentre suggestive immagini del 1973 mostrano un bambino (Antonio de la Malena) cantare le ‘Seguirillas’ accompagnato da lui, al tempo già un giovanissimo chitarrista, Moraíto cità le parole della zia Anica ‘La Piriñaca’, anche lei cantante Flamenco: “..cuando canto, la boca me sabe a sangre..” (“..quando canto, la mia bocca deve sapere di sangue..”). E' il ‘cante jondo’ (‘il canto profondo‘), nato in seno alla storia del popolo dei Gitanos, perseguitati nei secoli e che esprimevano proprio attraverso la forma artistica del Flamenco parte delle loro sofferenze.

 

 Ma anche emozioni come reazione, fierezza, gioia di vita, storie di amore.. Questa estate, viaggiando per Granada nel sud della Spagna, ho avuto occasione di assistere ad uno spettacolo di Flamenco, al tablao di un ristorante del vecchio quartiere moro El Albaicín. Accompagnati dagli eccellenti chitarrista, percussionista e cantante, i protagonisti dell'emozionante, e soprattutto divertente, jam session erano i due giovani ballerini Cristina Prado Carrasco e Javier Serrano. Nell'oscurità di poche luci, la ragazza per prima cominciò a ballare in un modo mai visto prima, conquistando il pubblico con i suoi improvvisi cambi di movimento, il suono forte dei passi sul tablao di legno - quasi un ritmo a colpi di batteria Punk-Hc -, come una Dea ferita, che sprigiona energia dal corpo. Così come il ballerino, che alla fine dell'esibizione lasciò tutto il pubblico, specialmente femminile, senza parole.

 Il fotografo franco-americano Gilles Larrain -un suo ritratto della ballerina di Flamenco Belén Maya del 1996 sulla sinistra- ha dedicato una larga parte della sua carriera al mondo della Musica, con impressionanti fotografie di leggende Jazz e di musicisti del Flamenco.

 Una grande mostra di alcuni anni fa, in Spagna a Siviglia, a ‘El Centro Andaluz de Arte Contemporáneo de Sevilla’, Prohibido el Cante. Flamenco y Fotografía (‘Proibito il canto: Flamenco e Fotografia 3 Aprile- 30 Agosto 30, 2009), ha riunito oltre 200 fotografie originali di circa 70 autori internazionali, da classici come Manuel Álvarez Bravo, Brassaï, Man Ray, Robert Capa a più contemporanei come Martin Parr, Miguel Rio Branco, Peter Linderbergh, Carlos Saura, Gilles Larrain, Lebanon-Armenian Ariane DelaCampagne, Franco Rubartelli, José Lamarca, Elke Stolzenberg.

‘Prohibido el cante – Flamenco y fotografía’ catalogo e poster della mostra, curato da Gloria Rodriguez, per il Centro de Arte Contemporáneo (CAAC), RM Verlag, 2009 © courtesy of Gloria Rodriguez

 

 Un progetto della documentarista russo-americana Lena Herzog, è invece diventato un libro intitolato ‘Flamenco: Dance Class’, Periplus Publishing Ltd London, 2003. Realizzato insieme con un altro lavoro di Lena in Spagna, sulle tracce dei toreri spagnoli, ‘TAUROMAQUIA: the art of bullfighting, Periplus Publishing Ltd London, 2003, Dance Class segue in un periodo di quattro anni il training delle ballerine studentesse di due classi: quella della troupe di danza Camino Flamenco fondata dalla vincitrice di Emmy Awards, coreografa e danzatrice, Yaelisa, in San Francisco, e quelle di Manuela Rios, in Siviglia.

 Un'introduzione sulla storia del Flamenco, e alla fine spiegazioni circa le interne differenze tra i diversi tipi di canto, musica e danza, sono spiegate da Ignacio de Cossio. Alcune citazioni di canzoni o di artisti collegati, scritte su pagine interamente bianche o nere, dividono il libro in sezioni. Le fotografie, 100 stampe alla gelatina d'argento virata al selenio, fluiscono esattamente come le classi: prima quella del mattino per i principianti, poi l'intermedia, infine quelle avanzate per gli studenti di più lungo corso. Ai miei occhi, un senso di femminilità, quasi un pudore, un rispetto, è presente in come l'autrice fotografa l'esercizio fisico, l'insegnamento, in questa unità di spazio e tempo. I due libri si completano l'uno con l'altro, seguendo differenti protagonisti, ma condividendo lo stesso soggetto, di nuovo i corpi (di ballerini in uno, di toreri nell'altro) con le loro tensioni, i loro movimenti o l'assenza di movimento.

In punta di pieidi o con una bacchetta

 “Chi danza è in una trance continua..” dice Eva la ‘Yerbabuena’ in Dance Class: e un elegante libro circa una speciale danzatrice, è quello che ho trovato in una libreria di Roma, grazie ad un colpo di fortuna. L'autrice è la fotografa italiana Lucia Baldini, una donna che ha seguito per oltre dieci anni l'acclamata ballerina classica Carla Fracci (nata a Milano, Italia, 1936).

immagini © courtesy of Lucia Baldini/Le Lettere

 

 Risultato di questa lunga collaborazione è ‘Carla Fracci: Immagini 1996-2005’, Le Lettere, Firenze, 2005. Un libro raro oggi, in un tempo di così tante (giuste) sperimentazioni nell'editoria fotografica, con più di 100 fotografie in bianco e nero, molte delle quali preziose immagini a negativo pieno, cronologicamente dispiegate balletto dopo balletto come un castello di destini e di sguardi incrociati", come Enrico Gatta scrive nella sua introduzione, "vi confluiscono molte storie: di artisti, di spettatori, di teatri.."

 Anche Lucia sceglie di intervallare le sue immagini con citazioni e parole: di vari poeti, critici d'Arte, compositori, autori classici del Novecento europeo e oltre. Meno minimale di Lena Herzog nell'uso grafico tra parole e foto, Lucia sembra in cerca della ‘sinestesia’: a volte c'è una stretta relazione tra le immagine e i versi, altre volte questa connessione tra il suono delle parole che si leggono e il suono suggerito dalle immagini è più astratta, emozionale, poetica. E improvvisamente, nel mezzo del libro, a lato di una fotografia che ritrae Carla Fracci che interpreta ‘Isadora Duncan (1997), si incontra questo: “La danza è il linguaggio dei sordomuti propagato dalle mani a tutto il corpo … Sordomuti e danzatrici ... che cosa vogliono esprimere i gesti della danzatrice ? (Non) idee … ma stati d'animo ! ... La danza è come una pazzia bianca, una malattia silenziosa e ondeggiante” (Alberto Savinio, 1891–1952, pittore e anche autore del libro ‘Isadora Duncan’).

Abbado directs Berlioz with Orchestra Mozart, Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, Orchestra Giovanile Italiana, Bologna, Italy, 2008 © Contrasto/Marco Caselli Nirmal
Abbado directs Berlioz with Orchestra Mozart, Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, Orchestra Giovanile Italiana, Bologna, Italy, 2008 © Contrasto/Marco Caselli Nirmal

 Come il corpo danzante di Carla Fracci, anche quello del celebre direttore d'orchestra  Claudio Abbado (Milano, Italia, 1933-Bologna, Italia, 2014), è il soggetto di un libro fotografico uscito l'anno scorso: Claudio Abbado. Fare musica insieme’, Contrasto editore, 2015, un lavoro copioso che mostra attraverso le immagini la sua lunga carriera, dal debutto a Milano negli anni '60, per poi approdare a Londra, Chigago, Vienna, Berlino e infine creatore di giovani ensambles come l'European Community Youth Orchestra, o l'Orchestra Mozart a Bologna, in Italia.

 Il libro ‘Claudio Abbado Fare musica insieme’ è anche il catalogo per la mostra dallo stesso titolo (28 Marzo - 28 Giugno, 2015) allestita nel foyer dell ‘Opera di Firenze’, curata da Alfredo Albertone, e organizzata da Opera di Firenze/Maggio Musicale Fiorentino, Contrasto Agency, con il supporto della ‘Fondazione Claudio Abbado’.  

 

 La figura di Abbado, al lavoro o dietro la scena, emerge in più di duecento fotografie a colori o in B&N (da numerosi fotografi, agenzie e archivi, come del ‘Lucerne festival’, del ‘Teatro La Scala’ a Milano, la Contrasto/Magnum Photos, Getty, Corbis e tanti altri), e  come descritto da un suo amico intimo, il (grande) attore svizzero Bruno Ganz: “Quando lo guardi, la prima cosa che ti colpisce è l'immensa eleganza della postura, l'eloquenza fisica mentre egli conduce [..] Ma c'è dell'altro: egli possiede una spinta quasi infantile che sostiene la purezza di quello su cui sta lavorando...” come -continua Ganz- la mistica visione e relazione con la natura del poeta tedesco Friedrich Hölderlin del Romanticismo, “..e una specie di rara moderazione, una reticenza personale, che ha sempre reso l'uomo un mistero per me..”[4].

At 'La Scala Theatre', Milan, 1976 © courtesy Contrasto/Roberto Masotti
At 'La Scala Theatre', Milan, 1976 © courtesy Contrasto/Roberto Masotti

 Parte di questo 'mistero' risiedeva nel modo speciale di Abbado di condurre e comunicare: “..Normalmente non sono una persona che parla molto, anche all'orchestra” spiega egli stesso [5] “i miei contatti con i musicisti non sono verbali. D'altronde posso forse parlare durante un concerto ? Così l'espressione degli occhi, delle mani, questi sono 'il contatto' con i musicisti.. e gradualmente loro lo hanno capito..”. Oltre ai gesti, quelli facilmente familiari del direttore d'orchestra sul podio, la musica per Abbado sembra essere evocata anche attraverso un linguaggio quasi empatico. Così è la relazione stessa con il suono a cambiare, come i musicisti della Berlin Philarmonic Orchestra raccontano avveniva sotto la sua guida, fatta di una quasi completa rinuncia dell'ego in favore del loro lavoro, di una spinta costante ad ascoltarsi sempre reciprocamente e con attenzione, spesso richiedendo di suonare i propri strumenti molto più piano dell'usuale.

 Ogni cosa, questo ascolto mutuale insieme al contatto visuale, risultava poi in un suono più chiaro, totale, peculiare, "..quasi una presenza fisica possibile di essere toccata e manipolata..” [6]. Forse, proprio quello che Abbado intendeva quando parlava di ‘Fare musica insieme’, in tedesco ‘Das Zusammenmusizieren’, in inglese, ‘Making music together’.

 

 

… e sicuramente da qualche parte, Kurt sta ballando alla chitarra di Claudio, mentre Morao canta … che gran jam session di amici sarebbe, no ?

 

 

 

REFERENZE / LINKS

 

* Il 'canto buono' è riferito all'originale modo di dire in spagnolo -anche titolo del documentario citato- 'El Cante Bueno Duele', in inglese tradotto con il verbo 'cantare', 'singing' ('The Good Singing Hurts'). Nell'originale però, il senso non è tanto posto sull'azione, ma sulla cosa in sè, il canto, che deve essere non soltanto un 'Bel Canto' (come nella tradizone italiana) o semplicemente un 'buon canto', ma, appunto, esattamente 'un canto buono', fatto bene, come Dio comanda, profondo ('El Cante Jondo'), dall'anima.

 

 Frasi in nero nell'articolo riflettono pensieri personali sulla fotografia dell'autore, altrimenti le citazioni sono indicate e numerate:

 

(1) “Spin” magazine, April 1995 EL_CANTE_15d

 

(2) “Nirvana: The Chosen Rejects”, by Kurt St Thomas, Troy Smith. By St. Martin’s Griffin ed. , 2004. (pp. 191.)

 

EL_CANTE_15c (3) Taking Punk to the Masses: From Nowhere to Nevermind visually, Jacob McMurray, Fantagraphics Books, 2011

 

(4) (5) (6) ‘Claudio Abbado: Hearing the Silence’, by Paul Smaczny, 2003, EuroArts Music International

 

– Sul lavoro di Masayoshi Sukita:

http://time.com/4117090/sukita-david-bowie-photos/

 

https://www.morrisonhotelgallery.com/photographer/Default.aspx?photographerID=1179

 

 

– Selezione dei libri di Lucia Baldini

–  Alcuni libri di Musica e Fotografia:

 

51QMXm9PDZL._SX392_BO1,204,203,200_ The ’90s: The Inside Stories from the Decade That Rocked – October 18, 2011 by The Editors of Rolling Stone – Gli editori del magazine Rolling Stone presentano un tributo agli anni 90, con un'antologia che esplora i vari aspetti del decennio così ricco di nuove scene musicali, insieme con articoli di scrittori del Rolling Stones, fotogafie di fan, musicisti, concerti e festival, e racconti di personaggi come Moby, RZA, Liz Phair, Bob Weir, ma anche Slash. Dai Pearl Jam fino ai Wu-Tang Clan, Rolling Stone racconta tutto questo.

 

 

bio_pda-1 Flamenco: paisaje del alma” (Flamenco: Paesaggio dell'Anima), di Gilles Larrain, Fundacion tres culturas del mediterraneo, 2007 – Il rinomato fotografo ritrattista franco-americano Gilles Larrain (5 Dicembre, 1938), autore del libro di successo ‘Idols’ (1973) sul famoso gruppo attivista gay di NY, noto come ‘the Cockettes’, venne inviato per due settimana a Siviglia, come fotografo per GEO magazine, incaricato di ritrarre l'anima del Flamenco. Chitarrista flamenco egli stesso, il soggiorno di Gilles si estese a due mesi, ospite di Paco Lira, figura centrale del mondo del Flamenco, nell'attico ‘La Carboneria’ in una rinomata via di Flamenco della città. Il risultato è una mostra che negli anni è stata esibita internazionalmente e questo libro, con ritratti di alcune leggendarie famiglie del Flamenco nei bellissimi scenari dell'Andalusia, insieme con i ritratti di molti artisti fotografati da Gilles nel suo studio di SOHO a New York. Circa il lavoro di Gilles Larrain sul Flamenco, un breve film e intervista qui.

Flamenco. Pasión, desgarro y duende. Una historia fotográfica desde 1970, di Elke Stolzenberg e José Lamarca. Península. Barcelona, 2012 – Con testi di Alfredo Grimaldos, il libro presenta un viaggio fotografico dentro il mondo del Flamenco dal 1970 fino agli anni recenti, diviso in due parti: le foto di Ms Stolzenberg, che colgono gli artisti in movimento, nella danza, e il bianco&nero dei ritratti in studio di Mr Lamarca.

 

 

Portrait of a Symphony by Constantine Manos, Basic Books, New York, 1961 – Primo libro pubblicato dal fotografo dell'Agenzia Magnum Costantine Manos, nato in Sud Carolina nel 1934. A 19 anni, Manos viene assunto come fotografo ufficiale per la Boston Symphony Orchestra, a Tanglewood. Le sue fotografie dell'orchestra culminarono nel 1961 con questo libro.

 

 

 

                                                                            ritorna a -> ICP Library Blog Index